Grazie nebbia di Wystan Hugh Auden, pubblicato postumo nel 1974, raccoglie le ultime poesie di W. H. Auden. Il lettore è invitato così a confrontarsi con il testamento stilistico ed etico di un poeta che a Mario Praz parve contrassegnare il nostro secolo, quasi definirlo nel suo titolo più celebre, L’età dell’ansia.
Subito, colpisce nei versi un andamento discorsivo e insieme alto, pacatamente solenne, come determinato da un’intelligenza superiore, attenta, snobistica: poi ci si accorge che c’è anche una passione turbata in quell’humour, in quella brillante disposizione al sermone satirico. Nessun apparente abbandono, nessuna concessione al simbolico: Auden mette in scena un suo classicismo tra Orazio e Pope, ora un po’ recitato, ora del tutto intenerito e cordiale.
La Nebbia, sorella incontaminata dello smog, è invocata come complice dal poeta approdato da New York alla magica campagna del Wiltshire, per vivere qualche giorno almeno il proprio ideale oraziano, dopo aver contratto il proprio cosmo in una casa avita, nei piaceri della lettura, delle cene, del vino, dell’amicizia.
Per tutto il libro Auden manifesta il proprio virtuosistico talento gnomico, parodico, didascalico, che dove è più contingente è in debito con Brecht, dove è più universale è in debito con Goethe: se ne vedano come esempi Discorso alle bestie, dove si constata con sollievo che gli animali, se non possono generare dei Mozart, non generano neppure brillanti sciocchi come Hegel / o intelligenti malvagi come Hobbes ,
o Archeologia, dove si avanza l’idea che i poeti stessi prendano per «Grosse Fandonie» i miti che insegnano, o gli haikai di In breve, tra i quali uno recita:
«Qualunque sia la fede personale / tutti i poeti, almeno come tali, / sono politeisti».
Infine, in un testo come Recitativo della morte, il lettore scoprirà che tanta intelligenza satirica e riluttante ai simboli può trovare la strada di una dura, virile metafisica.
Ringrazia i poeti suoi maestri nell’arco di una vita: Hardy, Frost, Yeats, Graves, Brecht, per terminare con Orazio e Goethe. E infine, «comodo nella tana del suo io, / Madonna e Bambino», paradossalmente pio, si concede l’azzardo di una ninna nanna. È il congedo, colloquiale e familiare, di un sapiente.
Edizioni Guanda Collana Fenice Contemporanea 1977 con testo a fronte A cura di Aurora Ciliberti
W.H. Auden
Nato a York (Inghilterra) nel 1907, W.H. Auden studiò a Oxford dove acquistò presto grande autorità e prestigio in un circolo intellettuale del quale facevano parte, tra gli altri, C.D. Lewis e S. Spender. Negli anni Trenta fu tra i maggiori esponenti della cultura marxista inglese e parte-cipò, nelle file antifranchiste, alla guerra civile spagnola. Del 1939 è il suo trasferimento negli Stati Uniti; dell’inizio degli anni Quaranta la sua conversione al cristianesimo. Dopo la guerra visse a lungo in Italia e in Austria; morì a Vienna nel settembre del 1973.
Oltre a numerosi volumi di poesie (raccolti in gran parte nei Collected Shorter Poems 1927-1959 e nei Collected Longer Poems del 1968), scrisse, perlopiù in collaborazione con Chester Kaliman, alcuni libretti d’opera, tra cui famosissimo quello per The Rake’s Progress di Stravinskij.