Quarta di copertina Il Lampadario di Clarice Lispector

Il Lampadario di Clarice Lispector. Nella grande casa in cui, magra, scalza, solitaria, la piccola Virgínia si aggira «in concentrata distrazione» i mobili spariscono un po’ alla volta, «venduti, rotti o troppo vecchi», e le porte si aprono su stanze in cui regnano «il vuoto, il silenzio e l’ombra». Abbandonato nella vasta sala da pranzo – dove brillano «vetri e cristalli addormentati nella polvere» – c’è però un lampadario, unico sopravvissuto di antichi fasti: «Il grande ragno avvampava», e Virgí­nia «lo guardava immobile, inquieta, sem­brava presagire una vita tremenda. Quel­l’esistenza di ghiaccio». Ma soprattutto in­sieme a lei c’è Daniel, il fratello di poco più grande, che da quando è nata la consi­dera «solo sua», che la protegge e la tormenta, e con lei condivide straordinari se­greti: dal misterioso cappello che vedono scivolare lungo il fiume – e che immagina­no appartenga a un annegato – alla scato­la piena di ragni velenosi di Daniel, fino alla Società delle Ombre di cui sono gli unici membri.

Quando i due, cresciuti, la­sceranno insieme la tenuta di Granja Quie­ta per andare a studiare in città, i loro desti­ni si separeranno.

E quando, dopo un’ar­dua educazione sentimentale, Virgínia de­ciderà di tornarci, capirà «che il posto do­ve si è stati felici non è il posto dove si può vivere»: sul treno che la riporterà lontano si accorgerà di essersi scordata di guarda­re il lampadario e saprà di averlo perdu­to per sempre, così come ha perduto per sempre la sua infanzia miserabile e incan­tata.

Lispector narra questa struggente iniziazione alla vita con la sua lingua lussu­reggiante e visionaria: «attenta» ha scritto Franco Marcoaldi «al cuore che batte, al­la vena che pulsa, alla vibrazione cieca del sentimento nel corpo».

Il lampadario, titolo che lo scrittore Lucia Cardoso, grande amico di Clarice Lispector, giudicava troppo dimesso e che a lei piaceva proprio per la sua povertà, è il secondo romanzo di Clarice Lispector (1920-1977) terminato a Napoli nel 1946 e pubblicato lo stesso anno.

Adelphi Fabula 381 Pagine 282 Traduzione di Virginia Caporali e Roberto Francavilla.

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