Dalla prefazione a Un eroe dei nostri tempi a cura di Paolo Nori
Il ritratto di un uomo e di un’intera generazione in cinque racconti: l’antieroe Pecorin e il suo alter ego Maksim Maksimyc. Una pietra miliare nella storia del romanzo russo dell’Ottocento. “Un Eroe dei Nostri Tempi è proprio un ritratto, ma non di una persona: è il ritratto che nasce dai vizi di tutta la nostra generazione, nel pieno del loro sviluppo.
Mi direte ancora che un uomo non può essere così malvagio e io vi dirò che se avete creduto alla possibile esistenza di tutti gli scellerati tragici e romantici, perché non credete alla realtà di Pecorin? Dite che la morale da tutto ciò non ne guadagna? Agli uomini han dato fin troppi dolciumi; perciò il loro stomaco si è guastato: servono medicine amare, verità irritanti”. (Dalla prefazione di Paolo Nori).
Michail J. Lermontov
Michail Jur’evic Lermontov, figlio di un povero ufficiale di carriera, Juri Petroviò Lermontov, e di una ricca ereditiera dell’aristocrazia, Maria Michajlova Arsen’eva, nacque a Mosca nel 1814. Dopo la morte della madre, quando il figlio aveva solo due anni, venne cresciuto dalla facoltosa nonna materna lontano dal padre. Studiò a Mosca, dove cominciò a scrivere poesie. Amò i romantici (Byron, Shelley, Walter Scott, Cha-teaubriand, Rousseau, Goethe) ed è considerato uno dei massimi poeti e scrittori del romanticismo russo. Lasciò l’università e Mosca per Pietroburgo, dove abbracciò la carriera militare ed entrò nel corpo degli Ussari.
Amante della libertà, anticonformista, ribelle ed emulo di Byron, destreggiandosi tra le ferree regole della vita militare e i piaceri della dissoluta vita mondana pietroburghese, scrisse versi libertari. Fu esiliato per un breve periodo nel Caucaso per la lirica scritta in morte di Puskin che gli inimicò la corte dello zar Nicola I, accusata della responsabilità di quella morte.
Fu esiliato una seconda volta sul Mar Nero a causa di un duello. A sua volta, morì giovanissimo, all’età di ventisette anni, in duello, nel 1841. Nella sua produzione, dove si sente con forza l’esperienza caucasica, ricorrono l’immagine della creatura demoniaca, la lotta contro la tirannia, la vanità del mondo. Tra le sue opere, che hanno lasciato un segno duraturo nella letteratura russa: il dramma Un ballo in maschera (1835), la lirica In morte di Puskin (1837), i poemi Il demone (postumo) e Il novizio (1840), il romanzo Un eroe dei nostri tempi (1840).